Al di là del principio di piacere /6

* 20.   Nel sesto capitolo, Freud pone innanzitutto in dubbio la precedente ipotesi concernente la possibilità che tutte le pulsioni siano coazione a ripetere, cioè tensione verso la morte:

Ma qual è, nello sviluppo della sostanza vivente, l’importante evento che viene ripetuto dalla riproduzione sessuale o dall’atto che la precede, la copulazione di due protisti? Non possiamo dirlo, e quindi ci sentiremmo sollevati se tutta la nostra costruzione si rivelasse sbagliata. In questo caso il contrasto fra le pulsioni dell’Io (o di morte) e le pulsioni sessuali (o di vita) verrebbe meno, e la coazione a ripetere perderebbe l’importanza che le abbiamo attribuito.[1]

Il fatto che non risulti rintracciabile “l’importante evento” che la riproduzione sessuale ripeterebbe comporta che non si possa affermare che anche le pulsioni sessuali siano espressione della coazione a ripetere; questa verrebbe allora ridimensionata a un (e non il) motore psichico.

Seguono considerazioni e paragoni su varie teorie biologiche dell’epoca, che rivestono minore interesse per la prospettiva da noi assunta.

Poi, Freud traccia una sintetica storia dello sviluppo della sua teoria delle pulsioni, partendo dall’iniziale contrapposizione fra “pulsioni sessuali” e “pulsioni dell’Io”; la fase successiva fu quella dell’individuazione di una “libido narcisistica”, cioè di una pulsionalità sessuale investita non sull’oggetto, ma sull’Io; questa doveva essere identificata con le “pulsioni di autoconservazione”, prima annoverate fra le pulsioni dell’Io non libidiche; pertanto risultava inadeguata la precedente contrapposizione fra pulsioni sessuali e pulsioni dell’Io, dovendosi ora ricorrere a una distinzione non qualitativa, ma topica delle due specie di pulsioni. Freud si domanda se a questo punto non dovesse essere riconosciuta l’esistenza di una sola tipologia di pulsioni, quella della libido, cioè se non dovesse essere accreditato un monismo pulsionale come quello junghiano. Si risolve a negare questa idea e afferma che invece si è giunti a una concezione dualistica, come era per lui sin dall’inizio, solo che adesso si tratta di una contrapposizione fra pulsioni di vita e pulsioni di morte. Nota per inciso che, mentre in un primo tempo aveva incluso le “pulsioni di autoconservazione dell’Io” fra le pulsioni di morte, si era poi corretto: ritengo che si riferisca a quando, poche pagine prima, aveva identificato l’energia pulsionale che tiene unite le cellule dell’organismo (che è autoconservazione) con l’Eros, cioè con le pulsioni di vita. Nell’Io vengono così collocate due specie di pulsioni, le pulsioni di morte e le pulsioni autoconservative di natura libidica. Poi afferma:

Resta il fatto increscioso che fino a questo punto l’analisi ci ha consentito di dimostrare sempre e soltanto l’esistenza di pulsioni [dell’Io] di natura libidica. Non per questo tuttavia riteniamo di poter sottoscrivere la conclusione che non ne esistano altre.[2]

Freud sembra quindi sforzarsi, in quanto dice dopo, di indicare alla nostra immaginazione qualcosa che possa convincere dell’esistenza e dell’operare delle pulsioni di morte. Nota che anche l’amore d’oggetto mostra una polarità come quella fra le pulsioni di vita e di morte: quella fra “amore (tenerezza) e odio (aggressività)”. Tenta allora di stabilire una connessione fra le due coppie di opposti; ne segue che la componente aggressiva dell’amore d’oggetto, il “sadismo”, venga spiegata come pulsione di morte deviata dall’Io all’oggetto sotto la pressione della libido narcisistica. Freud afferma che se questa ipotesi venisse accolta sarebbe stato finalmente prodotto l’agognato esempio di pulsione di morte, ma dubita della capacità di convinzione di tale argomento. Già in passato aveva parlato di masochismo, dice; si tratterebbe ora solo di considerare questo masochismo non come il rivolgersi del sadismo verso l’Io, ma come pulsione originaria, espressione della pulsione di morte, poi rivoltasi verso l’oggetto, a opera della libido narcisistica, sotto forma di sadismo.

Il discorso prosegue tornando a occuparsi delle pulsioni di vita; Freud prende in considerazione l’idea che il “rinvigorimento vitale” conseguente alla loro azione consista nell’introduzione di un “nuovo ammontare di stimoli”: l’unione di un individuo con la sostanza vivente di un altro determina “nuove differenze vitali che dovranno essere livellate dalla morte”. Dice poi:

L’aver riconosciuto come tendenza dominante della vita psichica, e forse della vita nervosa in genere, lo sforzo che si esprime nel principio di piacere, sforzo inteso a ridurre, a mantenere costante, a eliminare la tensione interna provocata dagli stimoli (il “principio del Nirvana”, per usare un’espressione di Barbara Low), è in effetti uno dei più forti motivi che ci inducono a credere nell’esistenza delle pulsioni di morte.

Ma le nostre argomentazioni ci sembrano tuttora sensibilmente disturbate dal fatto che proprio per la pulsione sessuale non possiamo dimostrare quel carattere di una coazione a ripetere che per primo ci aveva messo sulle tracce delle pulsioni di morte.[3]

Non è chiaro: perché dovremmo ancora ricercare la natura di ripetizione coatta della pulsione sessuale se ci troviamo nel nuovo territorio del dualismo pulsionale, dove la pulsione sessuale è pulsione di vita e quindi non pulsione di morte e quindi non coazione a ripetere? Credo che la risposta risieda nel fatto che Freud stia ancora qui ponendosi quell’interrogativo sollevato all’inizio di questo capitolo 6, concernente la possibilità che tutta la sfera pulsionale sia sussumibile sotto il dominio della tendenza alla morte. La conclusione cui giunge nelle pagine successive è che:

Dunque, se non vogliamo abbandonare l’ipotesi delle pulsioni di morte, dobbiamo supporre che fin dall’inizio esse si siano associate alle pulsioni di vita. Ma dobbiamo ammettere che qui lavoriamo con un’equazione a due incognite.[4]

Comunque le perplessità o gli interrogativi sollevati da queste due ultime citazioni non eccedono il campo delle questioni già trattate, mi pare; può forse valere la pena di osservare quanto il principio di piacere venga ora assimilato alla pulsione di morte (“principio del Nirvana”). Naturalmente, ciò pone interrogativi sul rapporto fra la sessualità, che è presa come prototipo del piacere, e la pulsione di morte, ma tutto ciò non fa che riportarci alla già nota contraddizione di fondo che mi è parso di aver messo bene in luce e cioè a quanto siano davvero due cose distinte queste che tornano sempre a sembrare una.