* 6. Nel capitolo successivo, è attraverso un breve riassunto dell’evoluzione della tecnica psicoanalitica che Freud ci conduce in porto. Nonostante questa evoluzione, egli dice, una difficoltà terapeutica è sempre rimasta: dapprima essa era identificata con la resistenza offerta all’interpretazione, ma poi si è meglio definita come la tendenza a ripetere il contenuto del rimosso nella forma di un’esperienza attuale anziché ricordarlo come parte del proprio passato. E questa ripetizione si materializza nella traslazione, nel rapporto con il medico. Ciò che rallenta, ostacola, il progresso della cura è proprio questa sostituzione del ricordo con la ripetizione.
* 7. Interviene a questo punto una risistemazione delle definizioni strutturali, necessaria, secondo Freud, per capire meglio la “coazione a ripetere” che si manifesta durante il trattamento psicoanalitico. Ci dice che è confusivo immaginare che la resistenza parta dall'”inconscio”. L’inconscio, intendendo con ciò il rimosso, non oppone alcuna resistenza a emergere, anzi, quello è proprio il suo scopo, che persegue costantemente. Le resistenze provengono da quei sistemi che originariamente avevano attuato la rimozione, e ora vogliono mantenerla. Ma siccome esse stesse sono inizialmente inconsce, guadagneremo in chiarezza se sostituiremo il contrasto fra Coscienza e Inconscio (C-Inc) con la contrapposizione fra Io e rimosso. Potremo allora dire che la resistenza proviene dall’Io e che la coazione a ripetere deve essere attribuita all’inconscio rimosso.
Viene ancora osservato che le resistenze dell’Io conscio e preconscio si pongono evidentemente al servizio del principio di piacere, tendendo a evitare il dispiacere che proverrebbe dalla liberazione del rimosso.
* 8. Ora, e questo ci riporta alle difficoltà sopra accennate, Freud dice:
Ma qual è la relazione che esiste fra la coazione a ripetere – in cui si esprime la forza del rimosso – e il principio di piacere? E’ chiaro che la maggior parte delle esperienze che la coazione a ripetere fa rivivere deve procurare dispiacere all’Io, poiché porta alla luce attività di moti pulsionali rimossi; ma questo dispiacere rientra in una categoria che abbiamo già considerato e non contraddice al principio di piacere: è dispiacere per un sistema e contemporaneamente soddisfacimento per l’altro. Cionondimeno, il fatto nuovo e singolare che a questo punto ci tocca illustrare è che la coazione a ripetere richiama in vita anche esperienze passate che escludono qualsiasi possibilità di piacere, esperienze che non possono aver procurato un soddisfacimento neanche in passato, nemmeno a moti pulsionali che da quel momento in avanti sono stati rimossi.[4]
Ecco che si parla di esperienze passate che escludono qualsiasi possibilità di piacere. Ma, come abbiamo visto, è un bel problema fare un affermazione così, soprattutto dopo quanto Freud stesso ha detto nel capitolo 2. Per illustrare questa sua convinzione, egli ci riassume le vicende dolorose attraverso le quali “viene distrutto l’amore tipico dell’età infantile”; osserva che i nevrotici ripetono nella traslazione “tutte queste situazioni indesiderate e questi dolorosi stati affettivi”. E arriva pertanto a dire:
Nulla di tutto ciò può aver procurato piacere in passato; e siamo indotti a ritenere che oggi provocherebbe un dispiacere minore se riemergesse come ricordo o nei sogni, invece di assumere la forma di una nuova esperienza. Si tratta naturalmente dell’attività di pulsioni che dovrebbero condurre al soddisfacimento; eppure l’esperienza che anche in passato hanno procurato solo dispiacere anziché soddisfacimento non è servita a nulla. Tale attività viene nondimeno ripetuta; una coazione costringe a farlo.[5]
Ci convince questo discorso? Freud stesso nota: “Si tratta naturalmente dell’attività di pulsioni che dovrebbero condurre al soddisfacimento”. Più che altro, viene in mente qui una sorta di “caparbia testardaggine” del funzionamento pulsionale, che non intende arrendersi alla frustrazione e ritorna insistentemente sul luogo del fallimento con la speranza che “sia la volta buona”. La fantasia di un soddisfacimento possibile che, una volta incontrata la frustrazione nella realtà, vi ritorna e si ripete nella speranza di cambiarla, questa realtà; un infantile non voler abbandonare l’illusione. Perché dovremmo meravigliarcene? Freud stesso ha parlato più volte della difficile “educabilità” delle pulsioni sessuali, che tendono a riproporsi sempre con la loro pretesa di soddisfacimento anche a “detrimento dell’organismo nel suo insieme” (come egli dice in questa stessa opera[6]), il che è un altro modo di dire che l’esperienza del dispiacere non è servita a nulla.
* 9. Una ulteriore difficoltà nel livello di complessità del problema, infine, viene introdotta al termine del capitolo, quando si legge:
Va rilevato, tuttavia, che ci capita raramente di poter osservare gli effetti della coazione a ripetere allo stato puro, senza l’apporto di altri motivi. Nel caso del giuoco dei bambini abbiamo già sottolineato quali altre interpretazioni possono essere addotte per spiegarne l’origine. Pare che la coazione a ripetere e un soddisfacimento pulsionale direttamente piacevole vi convergano in un intimo intreccio. I fenomeni della traslazione sono evidentemente utilizzati dalla resistenza dell’Io il quale persevera ostinatamente nella rimozione; la coazione a ripetere, di cui il trattamento intendeva avvalersi, è in certo modo tirata dalla parte dell’Io che vuole tener fermo il principio di piacere.[7]
Ora è più difficile immaginare di poter “osservare” un comportamento di ripetizione coatta puro; la coazione a ripetere si fa accompagnare, si intreccia con un “soddisfacimento pulsionale direttamente piacevole”. Mi sembrerebbe opportuno rilevare come questa complicazione presenti forse un’analogia con quella sopra descritta, inerente alla presenza contemporanea di diversi sistemi di cui alcuni possono trovarsi in un regime di piacere e altri in un regime di dispiacere. Le tensioni che governano la psiche adesso appaiono tutt’altro che lineari e univoche; al contrario, ci si deve confrontare con spinte polimorfe e conflittuali, oltretutto difficilmente isolabili l’una dall’altra.
* 10. Vediamo dunque qual è il porto cui Freud voleva condurci:
Se terremo conto di osservazioni come queste, che si riferiscono al comportamento nella traslazione, nonché al destino degli uomini, troveremo il coraggio di formulare l’ipotesi che nella vita psichica esiste davvero una coazione a ripetere la quale si afferma anche a prescindere dal principio di piacere.[8]
… l’azione delle cause a noi note non è sufficiente a fornire una spiegazione esaustiva; e ciò che rimane privo di spiegazione è sufficiente a legittimare l’ipotesi di una coazione a ripetere, che ci pare più originaria, più elementare, più pulsionale di quel principio di piacere di cui non tiene alcun conto. Ma se nella psiche esiste tale coazione a ripetere, ci piacerebbe conoscere qualcosa su di essa, sapere a quale funzione corrisponde, in quali circostanze può manifestarsi, e in che rapporto sta col principio di piacere a cui, dopo tutto, avevamo attribuito l’egemonia sui processi di eccitamento che si svolgono nella vita psichica.[9]
* 11. Alcune osservazioni su quanto abbiamo letto nel terzo capitolo, che ci ha immerso in pieno nel problema:
Abbiamo visto che qui Freud sostiene che la coazione a ripetere dev’essere attribuita all’inconscio rimosso e, poco più sotto, afferma che “non c’è dubbio che la resistenza dell’Io conscio e preconscio si ponga al servizio del principio di piacere”. Non può d’altronde sfuggirci che, nel primo capitolo, era stata ricordata la rimozione come responsabile di una delle già note limitazioni del principio di piacere, per cui le pulsioni soggette a rimozione, che spingono per superare questo ostacolo, dovevano necessariamente essere intese come espressione del principio di piacere stesso, limitato nel suo instaurarsi dagli interessi (e quindi dal piacere) delle “rimanenti pulsioni che sono in grado di costituire la grande unità dell’Io”.
Quello che l’Io fa è pertanto chiaro: sia nel primo sia nel terzo capitolo, l’Io funziona secondo il principio del piacere, nel senso che vuole rimuovere faccende che lo disturbano e, se ci riesce, se le resistenze reggono, “prova piacere”, mentre se il rimosso evade da qualche parte, se le resistenze vengono eluse, “prova dispiacere”.
Non altrettanto chiaro è quel che dobbiamo pensare del “rimosso”: nel primo capitolo, esso è portato come esempio di ciò che vorrebbe funzionare secondo il principio di piacere, ma non può perché qualcos’altro nella psiche vi si oppone (l’Io con il proprio piacere); nel terzo capitolo, al rimosso va attribuita proprio la coazione a ripetere, che Freud invoca come l’Al di là del principio di piacere.
Come ce la caviamo?
a. Un primo pensiero è che si debba prendere in considerazione la possibilità di una identificazione fra principio di piacere e coazione a ripetere, in quanto è palese che entrambi vengono presentati da Freud come l’espressione della tendenza pulsionale del rimosso. Non sembra di poter seguire questa strada perché Freud stesso costruisce tutto il suo discorso sull’esistenza della coazione a ripetere cercando di mostrarla nel suo costituire una limitazione per il principio di piacere, quindi non può essere la stessa cosa.
b. D’altra parte, non andremmo a metterci in un ginepraio meno intricato se pensassimo di contrapporre principio di piacere e coazione a ripetere, perché stupirebbe come Freud avesse potuto portare la “pulsionalità” del rimosso prima come esempio del principio del piacere e poi come esempio della coazione a ripetere, se essi fossero opposti concettuali.
c. Si è portati a supporre una tale contrapposizione da come Freud costruisce il discorso: siccome deriva la coazione a ripetere da manifestazioni psichiche spiacevoli, sembra di dover pensare che essa agisca contro il principio del piacere, lottando contro di esso e per il fine opposto. Invece, egli segue questa linea di pensiero per un altro motivo: intende mostrare che se esistono manifestazioni psichiche spontanee di dispiacere, che non possano essere intese altro che come spontanee e di dispiacere, allora c’è un motore psichico che non è il principio di piacere. Ma ciò non significa dire che questo motore agisca contro il principio di piacere: semplicemente agisce indipendentemente, a prescindere, da esso, (al di là), cosicché nel suo estrinsecarsi procede noncurante del dispiacere che ne può derivare; potrebbe benissimo agire senza procurare alcun dispiacere o anche procurando piacere; i casi in cui procura dispiacere ci servono per smascherarlo, per differenziarlo da quella pulsionalità che eravamo abituati a riconoscere come al servizio del principio del piacere. Può quindi trattarsi di due tendenze pulsionali non contrapposte, ma semplicemente diverse e quindi immaginabili entrambe collocate nel “rimosso”.
Al punto * 6. ho ripreso il discorso di Freud sulla differenza che c’è fra ripetere la passata esperienza nella traslazione e ricordarla in analisi. Ciò solleva dei problemi non piccoli in termini di “cura” psicoanalitica; lo stesso Freud sfiora questa questione quando dice che “la coazione a ripetere, di cui il trattamento intendeva avvalersi, è in certo modo tirata dalla parte dell’Io che vuole tener fermo il principio di piacere “; colpisce l’idea che un trattamento “terapeutico” possa avvalersi di una coazione a ripetere che più in là verrà definita “pulsione di morte”. Forse la differenza fra ricordare e ripetere è proprio ciò che consente che qualcosa che è morte divenga cura?
Inoltre, mi sembra fondamentale evidenziare, anche in ordine a quanto seguirà, che dire, come fa Freud, che “il trattamento intendeva avvalersi” della coazione a ripetere può significare solo questo, mi pare: che la coazione a ripetere “spinge” perché il rimosso riemerga; è per questo che il trattamento dovrebbe potersene avvalere: perché essa tenderebbe a riportare alla luce ciò che la rimozione tenderebbe a mantenere nell’oscurità; quindi essa opererebbe creando uno squilibrio nel sistema.
[1] S. Freud, Al di là del principio di piacere, Op. cit., pag. 195.
[2] S. Freud, Al di là del principio di piacere, Op. cit., pag. 195.
[3] S. Freud, Al di là del principio di piacere, Op. cit., pag. 203.
[4]S. Freud, Al di là del principio di piacere, Op. cit., pag. 206.
[5] S. Freud, Al di là del principio di piacere, Op. cit., pag. 207.
[6] Ibidem, pag. 196.
[7] Ibidem, pag. 209.
[8]S. Freud, Al di là del principio di piacere, Op. cit., pagg. 208-209.
[9] Ibidem, pag. 209.