(il seminario inizierà il 2 novembre 2005 alle ore 20.00)
L’omicida seriale – definizione e struttura – osservazione e trattamento in carcere.
Il seminario, a differenza dagli anni precedenti, riguarderà si la teoria,
ma con un riferimento diretto all’attività pratica dello psicoanalista nelle istituzioni.
A partire dall’esperienza dell’attività di psicologo in carcere, si lavorerà sul concetto di serial killer;
si esamineranno alcuni casi molto noti e si cercheranno i rapporti del sintomo
dell’omicidio seriale con la struttura.
Commento al caso di Luigi Chiatti
Luigi Chiatti, soprannominato il “mostro di Foligno”, è nato a Narni il 27 Febbraio 1968. Si è reso protagonista dell’omicidio di Simone Allegretti, un bimbo di 4 anni, ucciso per strangolamento il 4 Ottobre del 1992, e di Lorenzo Paolucci, di tredici anni, ucciso con ferite da armi da taglio (un coltello, un forchettone) il 7 Agosto 1993. Condannato a trent’anni di reclusione dalla Corte d’Assise d’Appello di Perugia, è attualmente detenuto in un carcere della Toscana.
La lunghissima requisitoria, gli interrogatori, le numerose perizie psichiatriche svolte sull’imputato, hanno portato la giustizia a concludere il processo con una sentenza di colpevolezza. Certamente non appare esservi segno di struttura psicotica, nelle vicende omicide di Luigi Chiatti, essendo egli pur tuttavia individuo portatore di “disturbi” psichici non meglio identificati ma di una certa gravità. I diversi periti psichiatrici, tra i quali Galliani, Fornari, Vittorino Andreoli, nonché il noto psicologo criminale dell’FBI George B. Palermo (interpellato dagli stessi difensori di Chiatti), hanno tutti concluso con i medesimi risultati le loro indagini: la mancanza di una vera infermità mentale, nonostante i disturbi psico-affettivi di notevole gravità dell’imputato, potendo quindi considerare l’omicida in grado di intendere e di volere al momento dei fatti.
Le caratteristiche dei due omicidi presentano tratti simili, così come simili sembrano i “moventi”: Chiatti aveva in testa un disegno fantastico nei riguardi dei bambini o dei giovinetti, verso i quali provava una certa attrazione sessuale, e nei confronti dei quali provava il desiderio di identificarsi. Nel momento in cui qualcosa sfugge al controllo della suo volontà e sembra svanire l’illusione che egli insegue, qualcosa, come Chiatti stesso afferma, improvvisamente lo spinge ad aggredire i due bambini con il desiderio di ucciderli. Nel caso di Simone è la reazione spaventata del bambino, per niente divertito dalle attenzioni sessuali rivoltegli da Chiatti, a sottrarsi alla fantasia di godimento oggettuale messa in campo dall’omicida, che provoca lo scatenarsi di un misto di vergogna, fastidio e l’aggressione letale che ne consegue. Nel caso di Lorenzo invece, è un pensiero frustrante, che impedisce l’identificazione con il ragazzino, a fomentare l’ira omicida dell’assassino. Chiatti da anni meditava di trovare un bambino e di rapirlo, di portarlo a vivere con sé come se fosse stato “suo”, di possedere sessualmente dei bambini, gli unici individui verso cui egli provasse attrazione perché portatori di una qualche “purezza”. L’utilizzo di bambini quali oggetti sessuali ci riporta all’episodio forse più significativo raccontato dal Chiatti durante le perizie subite e collocato nell’infanzia, il primo e unico ricordo nitido del periodo passato nel Brefotrofio di Narni: il giorno in cui la madre adottiva (che cambiò il nome del bambino da Antonio Rossi in Luigi Chiatti all’età di 6 anni) lo indicò con il dito per sceglierlo quale proprio figlio. Egli è l’oggetto del desiderio della madre, come espresso in questa corrispondenza senza parole. Ciò caratterizza anche la struttura perversa di altri assassini seriali (come ad esempio Stevanin, il quale ricorda come i suoi genitori non desiderassero semplicemente avere un bambino, ma desiderassero “proprio lui”), che come Chiatti reagiscono con estrema violenza ad ogni frustrazione incontrata nel perseguimento del godimento, o semplicemente di fronte al rifiuto altrui di prestarsi a essere oggettivato. Come per Pacciani (resosi più volte protagonista di violenze carnali sui famigliari, nonché sul complice e amico Lotti) e per Bilancia (l’uccisione dei cambia valute e del benzinaio), anche per Chiatti non può esservi un limite alla realizzazione del proprio progetto di godimento: nel caso in cui l’ostacolo sia rappresentato da un’altra persona non fa differenza, perché l’altro soggetto è solamente un ostacolo al compimento assolutamente concreto cui essi aspirano. Da ciò scaturisce la freddezza che caratterizza i resoconti degli assassini seriali come il Chiatti, nelle descrizioni dei quali vengono meticolosamente ricostruiti i fatti, gli aspetti tecnici, le questioni razionali implicate nelle diverse situazioni, senza che vi sia mai traccia della presenza dell’altro in quanto portatore di una soggettività, quindi di un limite verso il quale la pretesa di uso, di oggettivizzazione della realtà, non può che arrestarsi. Nel caso di Chiatti possiamo anche osservare la presenza di una autoreferenzialità molto spiccata, osservabile nei due messaggi lasciati alla Polizia dopo il primo omicidio e nel continuo desiderio di attrarre l’attenzione verso di sé, sia durante le perizie che durante il processo, lamentando continuamente la mancanza di attenzione da parte degli altri, che viene fatta risalire all’infanzia anaffettiva trascorsa coi genitori adottivi; Chiatti inoltre si dichiara per nulla cattivo o aggressivo, ma anzi bisognoso di cure e attenzioni che in qualche modo qualcuno dovrà riservargli.
E’ certamente sorprendente, perlomeno dal mio punto di vista, osservare come le numerose indagini psichiatriche svolte, corredate da numerosi test psicometrici, abbiano prodotto una grandissima quantità di elementi descrittivi psicologici “letterari”, nei quali ciascuno di noi potrebbe almeno in parte identificarsi (“disturbo narcisistico di personalità”, “personalità egocentrica”, “personalità borderline”, “narcisismo buono e cattivo”, “mostro dentro di lui e fuori di lui”, “vi sono in lui rabbia e risentimento, se viene abbandonato o rifiutato o comunque non accettato dalle altre persone, che egli, a quel punto degrada da persone a cose”, ecc., ecc.) , ma nessuna vera descrizione diagnostica e prognostica. L’unico studioso che azzarda qualcosa del genere è G. B. Palermo dell’FBI: il criminologo americano ritiene che l’imputato sia seminfermo di mente, parlando a proposito di borderline personality; il periziando non è dunque, secondo il criminologo, sano di mente: “è estremamente lucido, ma in realtà si tratta di una persona che ha una specie di cancro nella psiche. E non credo che sia in nessun modo recuperabile“, lo considera un serial killer vero e proprio, ritenendo estremamente pericoloso un progetto per rimetterlo in libertà in quanto, secondo il criminologo, egli continuerebbe inevitabilmente a uccidere. Sebbene non vi sia chiarezza nella diagnosi di Palermo egli ritiene che Chiatti sia un individuo malato, non completamente in grado di osservare la realtà con gli occhi di una persona comune, ma tuttavia, seppur fortemente condizionato da impulsi coatti, non sia possibile ritenerlo incapace di intendere e di volere. Tutto questo descritto con innumerevoli termini psichiatrici: “…il periziando soffre di una sindrome borderline di tipo prepsicotico con forti elementi ossessivi compulsivi, pedofilici, ma di natura basicamente infantile e dunque di una sindrome seria, perché essa può sfociare sia in una forma paranoidea orribile, sia in una forma depressiva con idee suicide o omicide, sia in una forma schizofrenica, che magari si presenta con manifestazioni falsamente nevrotiche…”. Da un punto di vista prognostico Palermo afferma che “un trattamento psicoterapico e farmacoterapico solo in teoria potrebbe guarire Luigi Chiatti. Dovrebbe stare sotto cura per vent’anni, con psicoterapia di gruppo quasi quotidiana, e forse non basterebbe… la cosa migliore sarebbe quella di continuare a farlo vivere in un luogo dove il giovane sia protetto anzitutto da se stesso, perché è estremamente probabile che il suo comportamento aggressivo non si plachi con l’età e che possa tornare ad uccidere una volta libero… uccidere dà a questi soggetti un orgasmo psichico, che altrimenti non raggiungono. Un piacere che dura pochi minuti e il cui effetto, come quello della droga, deve essere ripetuto. Più il “mostro” ha successo, più torna ad uccidere anche se a volte può passare molto tempo fra un delitto e l’altro”.
La riflessione di George B. Palermo configura di fatto la serialità nell’uccidere di Chiatti, non chiarendone tuttavia le cause. Appellandoci invece al concetto di “struttura” diventa possibile rilevare come la “serialità”, ossia il costante ripetersi nel tempo di comportamenti derivanti da stati mentali con le medesime caratteristiche, abbia bisogno, per essere identificata, di venire innanzitutto riconosciuta: il progetto di raggiungimento del godimento nella perversione manifesta appunto le suddette caratteristiche, ignorando in maniera completa quella “moralità” e “legge” simboli di controllo, che rendono così sconcertanti le modalità degli omicidi e le posizioni degli assassini stessi nei confronti dei reati commessi. Quello che è in gioco è l’assenza di un limite, la mancanza totale della percezione di una soggettività, che emergerebbe quale frattura, crollo della fantasia onnipotente di godimento totale. La soggettività dell’altro, limite in quanto reale che sfugge alle pretese di godimento, è anche all’interno di sé la presenza della ferita, della separazione percepita e in misura maggiore o minore accettata dall’individuo, segno del limite inevitabile imposto dal Reale. E’ quindi pressoché assente il lavoro di queste funzioni nelle personalità come quella di Luigi Chiatti. Tuttavia quel che è più sorprendente è la mancanza di accettazione dello stesso reale, sfuggente all’assimilazione, che osserviamo negli sforzi dei periti psichiatrici: essi non riescono ad accettare la diversità strutturale dell’imputato, continuando di conseguenza a produrre tentativi di inglobamento di quella personalità così inconcepibilmente “diversa” dagli schemi diagnostici in loro possesso. Ciò produce interminabili descrizioni di psicologia letteraria, invece di ragioni che spiegherebbero il funzionamento di tali strutture, cosa certamente più utile per un futuro nelle indagini della polizia e per valutazioni prognostiche attendibili nei confronti degli stessi condannati.
Carlo Troiano