Anno 2004-2005

  • Inibizione, sintomo, angoscia (Hemmung, symptom und angst) 1925, S. Freud
  • Seminario sull’angoscia 1962-1963, J. Lacan

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Seminario  su

S. FREUD, La negazione (1925)
dalla lettura del 22 – 10 – 2003    

Freud inizia il suo scritto facendo degli esempi precisi.

Nel primo esempio “ora lei penserà che io voglia dire qualcosa di offensivo, ma in realtà non ho questa intenzione” l’intenzione di dire qualcosa di offensivo è venuta fuori, qualcosa potrebbe essere dentro il con un’intenzione offensiva. Quindi la Negazione è qualcosa che si rivolge nei confronti di un contenuto “altro” che in qualche modo è emerso. Infatti in quel momento non è così gratuito che l’interlocutore dica qualcosa di offensivo, poiché da qualche parte in lui era presente quest’idea.

Freud sostiene che questo processo avviene mediante la proiezione: nell’emergere verso la coscienza, l’idea con contenuto offensivo viene inserito nel contesto della relazione fra il soggetto e l’analista, proprio per questo vi è l’allarme per le conseguenze dell’offesa, ed è a questo punto che il pensiero vira verso l’immagine “lui pensa che io lo voglia offendere”: si tratta della proiezione. Per la relazione immaginaria che c’è tra i due si mira, infatti, a togliere l’aggressività per mantenere un rispecchiamento armonioso funzionante, e proprio per questo si inserisce la Negazione.

Nel secondo esempio “lei domanda chi possa essere questa persona del sogno. Non è mia madre” non è scontata l’affermazione, anche in questo caso qualcosa sorge e viene messo nel campo della Negazione.
Nelle situazioni in cui c’è un movimento della coscienza finalizzato a capire qualcosa, esso va compreso nella dinamica intrapsichica e non in quella interpersonale. Nella dimensione interpersonale va fuori campo l’incoscio, lì si struttura la difesa in analisi, che è la dimensione immaginaria della relazione tra i due. Il contenuto diventa “io sono preoccupato che tu possa pensare che è stata mia madre”.Nella dimensione intrapsichica, la Negazione è rivolta ad un’altra istanza psichica dello stesso soggetto, cioè verso l’affermazione “è mia madre”. Questa è la dimensione dell’inconscio, una lotta interna tra istanze in contrasto tra loro.

Portare il discorso sull’interpersonale è distruttivo per l’analisi, perché l’analista viene tolto dalla sua posizione, che è quella di far sì che diventi possibile per il soggetto dell’inconscio parlare e trovarsi; altrimenti l’analista diventa una sorta di stupido persecutore. La fiducia stessa nell’analista fa parte dell’immaginario, del transfert. La posizione dell’analista è quella di un contenitore che rende possibile che sia fatto qualcos’altro; quello che l’analista dice va a risuonare sulla verità interna dell’inconscio, qualcosa viene a parlare della verità. Sul piano simbolico, al posto della fiducia, sta quindi la risonanza sulla verità dell’inconscio.Come afferma Freud, l’ossessivo usa la conoscenza dei meccanismi che ha appreso per negare in modo solamente più complicato; sa che ciò che è vero per l’inconscio è rimosso, e quindi non può emergere, e usa questo meccanismo per sostenere che la cosa che gli è venuta in mente non può essere vera o non sarebbe venuta fuori.  
Quello che viene negato è il contenuto rimosso di una rappresentazione, in cui compare una revoca del rimosso, ma non la sua accettazione: la funzione intellettuale si scinde dal processo affettivo.  

La rimozione
: La pulsione viaggia nella direzione della coscienza per cercare la soddisfazione, mette in funzione l’apparato motorio per ottenere l’oggetto desiderato. In questo movimento verso la coscienza le pulsioni si scontrano con quello che si è strutturato come Io, il quale è turbato da determinati moti pulsionali in conflitto tra loro (che nella prima teoria erano le pulsioni di autoconservazione). Per proteggersi dal turbamento, prima del Preconscio si forma la barriera della rimozione con un controinvestimento. Infatti la pulsione ha una sua energia con cui spinge in una direzione e per fermarla è necessario che la barriera sia tenuta dall’altra parte con un controinvestimento, cioè con un’energia proveniente da un’altra zona della psiche.  
La pulsione è strutturata da un desiderio di scarica, ma siccome per scaricarsi deve fare determinate cose nella realtà, è connessa a delle rappresentazioni; ad esempio la pulsione orale è collegata alla rappresentazione del cibo, al desiderio di mangiare.  
La pulsione ha quindi una parte energetica e una rappresentativa. La barriera della rimozione blocca entrambe, impedendo alla rappresentazione di arrivare al conscio, cosa che metterebbe in campo anche la questione della pulsione. A questo punto la pulsione può arrivare al conscio solo in un modo completamente indecifrabile rispetto alla sua origine, ad esempio una angoscia indeterminata.  
La Negazione è una revoca di una parte della rimozione senza l’accettazione del rimosso, per questo la rappresentazione, cioè il contenuto, arriva al conscio in forma negata, e la questione della pulsione è messa in campo. Quello che rimane rimosso è l’energia pulsionale.

La pulsione si collega a una rappresentazione che si ramifica a una serie molto grande di connessioni associative, l’effetto della rimozione è di precludere la strada proprio alle catene associative e man mano che dai punti più periferici, e quindi meno preoccupanti dal punto di vista della difesa dell’Io, ci avviciniamo verso il centro, aumenta la resistenza dovuta alla rimozione, cioè la barriera di controinvestimento spinge maggiormente nella direzione opposta. Un’alternativa alla Negazione è la piena accettazione intellettuale del contenuto rimosso, ma non per questo la rimozione è stata tolta. Quello che sul piano dinamico è la rimozione, sul piano intellettuale è la Negazione.
Qualcosa di rimosso appare alla coscienza come negato, condannato: se avessimo una situazione in cui tutte le catene associative fossero bloccate dalla rimozione, il funzionamento intellettivo sarebbe idiota, non sarebbe possibile l’intelligenza, perché le connessioni di pensiero non potrebbero funzionare, e così anche i processi associativi. Tutto sarebbe bloccato da barriere che impedirebbero il fluire. La Negazione permette il movimento dei contenuti, pur rimanendo ferma la rimozione, permette cioè al pensiero di funzionare. In psicanalisi la Negazione, che svincola i contenuti rappresentazionali rimossi, può dirsi la nascita dell’intelligenza, il suo fondamento psicanalitico.

     Milena Albani   Serena Benacchio   Rosita Leonini

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Seminario  su

S. FREUD, La negazione (1925)
dalla lettura del 19 – 11 – 2003   

“La funzione del giudizio ha in sostanza due decisioni da prendere”.

Queste due decisioni si riferiscono rispettivamente al Principio di Piacere – “concedere o rifiutare una qualità a una cosa” – e al Principio di Realtà – “accordare o contestare l’esistenza nella realtà a una rappresentazione” -. Questo ci ricorda il rapporto che ha il bambino con il seno materno, che Freud sviluppa in “Progetto di una psicologia”; poiché il bambino brama il seno, che soddisfa la pulsione orale e apprende che quando è presente come percezione arriva il momento della soddisfazione, l’immagine del seno è collegata al soddisfacimento del bisogno. 
Secondo Freud, inizialmente, accade che il bambino debba risolvere la questione della dipendenza dal seno materno, che rappresenta un problema perché l’oggetto non è sempre presente. Infatti, quando sorge il bisogno di mangiare, il bambino viene messo in una condizione di eccitazione, di dispiacere, e cerca quindi quell’abbassamento della tensione, che è il piacere.

“Le rappresentazioni derivano da percezioni, sono ripetizioni di esse. In origine dunque l’esistenza della rappresentazione è essa stessa una garanzia della realtà del rappresentato”. Finchè  non ha incontrato il seno, il bambino non sa nulla della sua esistenza; nel momento in cui si presenta a lui come esperienza reale percettiva, allora ha la rappresentazione del seno.

“Il contrasto fra soggettivo e oggettivo non esiste sin dall’inizio” appunto perché l’immagine mnestica del seno può derivare solo dal fatto che in qualche modo sia prima apparso nel reale.

Nei momenti in cui il seno non è presente, la questione viene risolta “allucinando” il seno, ritrovando la traccia mnestica che il bambino ha appreso essere la fonte del soddisfacimento. Al posto dell’immagine del seno che viene dalla percezione visiva (e  presente nella realtà esterna), che da luogo alla reale soddisfazione, quello che è rimasto come immagine memorizzata, fa il percorso inverso innervando l’organo visivo e presentandosi in modo allucinatorio. Il bambino non cerca nel reale qualcosa che si è inventato, ma il soggetto ha trovato nel reale un oggetto di soddisfacimento, ne immagazzina la rappresentazione e dopo, con un richiamo al reale (l’allucinazione), ha lo scopo di ritrovarlo. Questo è un tentativo rudimentale del bambino di fare apparire il seno, per cercare una soddisfazione che nella realtà non avviene. E’ il principio di piacere: fare in modo che le cose corrispondano a ciò che procura piacere.

E’ qui che il Principio di Piacere incontra la necessità dell’instaurarsi del Principio di Realtà: se il seno non è reale, non c’è soddisfazione della pulsione orale. Per il bambino diventa importante distinguere la situazione in cui il seno è allucinato o invece realmente presente.

Compare una questione di dentro e di fuori che è strutturata su due diversi livelli:

–          un primo livello, quello del principio di piacere, che Freud  chiama “giudizio di attribuzione”, in cui un determinato oggetto ha un valore che può essere positivo o negativo, “questo lo voglio mangiare o lo voglio sputare”, è buono o cattivo, lo voglio introiettare o lo voglio espellere fuori da me, e quindi è un giudizio legato al soddisfacimento o alla frustrazione.

–          un secondo livello, legato al principio di realtà, che Freud chiama “esame di realtà”, o giudizio di realtà, che è quello del poter riconoscere qualcosa come esistente effettivamente nel reale esterno, o come qualcosa di rappresentato. È o non è, esiste o non esiste.

Questa è una distinzione importante da fissare perché è qualcosa che permetterà, a proposito di Lacan, di introdurre i tre registri: simbolico, immaginario e reale.

Esiste un primo confine in cui qualcosa è o non è. Ciò che non è coincide con il reale, l’oggetto “a” di Lacan, quello che non può essere in nessun modo conosciuto, né simbolizzato. Questo primo confine coincide con l’esame di realtà, un operazione non cosciente. Freud usa il giudizio di attribuzione dell’esistenza come i concetti usati dai filosofi, per cui un io pensante, consapevole, compie un’operazione riguardo a un oggetto stabilendo se è o non è esistente; una volta che qualcosa è considerato come esistente gli può conferire degli attributi. Similmente nella filosofia scolastica, una materia priva di attributi ha solo la caratteristica di supporto di un esistente; a questa materia, a seconda delle varie forme si agganciavano gli attributi, delineandola come vivente o non vivente. Dal punto di vista analitico, invece, ciò va considerato al di fuori di un io pensante, che decide di porsi un problema di esistenza o di attribuzione, e all’interno di una psiche, che nella sua strutturazione ammette o non ammette dentro di se l’esistenza di qualcosa. Per cui,  nel suo universo simbolico, nella sua simbolizzazione del mondo, qualcosa è ammesso o non ammesso: se è ammesso come esistente fa parte dell’universo simbolico, a disposizione delle catene associative; se non è ammesso come esistente non c’è, non può essere utilizzato, è un elemento che manca, è un vuoto lasciato nell’universo del simbolico
C’è un secondo confine: questo è esistente, è buono o è cattivo: Una volta che nel contenitore dell’esistente sono state inserite un certo numero di rappresentazioni, da esso l’io può prendere ciòche è buono ed espellere ciò che non è gradito, è lì che avviene la rimozione, perché nella sua posizione narcisistica l’io accetta che sia presente dentro di se solo ciò che per la sua funzione di giudizio attributivo è bene. Quelle cose che invece aumentano l’eccitamento, provocando dispiacere, vengono rimosse dall’io. Questo non significa che l’io possa escluderle dal contenitore delle rappresentazioni esistenti, ma le confina nell’inconscio.

–          Quello che è esistente perché rappresentabile, ma ritenuto inaccettabile, è l’inconscio rimosso, qualcosa che ha avuto accesso alla simbolizzazione; ma l’io non lo tollera come facente parte di sé, e quindi lo espelle confinandolo nell’inconscio, che è il luogo di ciò che è, ma è rimosso.

–          Ciò che è ed è buono, è ciò che ha accesso alla coscienza, quello che è contenuto tra i due confini.

Tuttavia questa divisione non è stata operata dall’io ma dal soggetto dell’inconscio.

Abbiamo una percezione di noi stessi unificata come io cosciente, e quindi come soggetto della coscienza, come io immaginario (Lacan), che agisce sulla base del principio narcisistico (lo mangio, lo sputo, quello che fa la rimozione).

Invece, nel registro dell’inconscio, vi è il soggetto dell’inconscio, situato nel simbolico e non nell’immaginario; è il soggetto di ciò che è, e non di ciò che piace. Nel momento in cui si struttura, attraverso la simbolizzazione/significazione del mondo con l’esperienza percettiva, tutto ciò che viene simbolizzato forma ne la realtà, il quale ammette nell’esistenza una serie di oggetti rappresentabili e ne esclude altri. Quello che viene ammesso come esistente è l’inconscio; quello che non viene ammesso come esistente, nel momento in cui si affaccia, viene “forcluso” (Lacan), rimane fuori, viene respinto, rimane nel non essere. Quindi, ciò che viene forcluso è diverso da ciò che viene rimosso.

–          La soglia della nevrosi è nel secondo confine, ciò che è buono o ciò che è cattivo, tra io e inconscio, quindi tra immaginario e simbolico. La negazione può esercitarsi solo su qualcosa che è stato simbolizzato. 

–          La psicosi parte dalla mancanza del soggetto dell’inconscio, infatti la soglia della psicosi si trova nel primo confine, ciò che è o non è, fra l’inconscio e il reale, il confine della forclusione (Lacan). Nella strutturazione del soggetto dell’inconscio, quello che viene dalla realtà viene simbolizzato, nella psicosi, a  qualcosa che arriva (che è qualcosa di importante), non viene concessa la simbolizzazione, e quindi lì c’è un buco nel simbolico. Nella trama del simbolico c’è uno strappo, siamo nel buco nero della possibillità del delirio e dell’allucinazione. In questa fase formativa del sorgere del simbolico qualcosa non è, e una volta che la rete del simbolico è costruita, non è possibile ripararla. Si può ad esempio fare un parallelo con la mielinizzazione delle fibre nervose, per cui o una persona impara a parlare tra 2 e 12 anni o non impara più.

Al giorno d’oggi ci sono molte dimensione classificate come psicotiche, ad esempio la tossicodipendenza, dove c’è una sostanza reale che va a tappare un buco; ci sono tossicodipendenti che non sono adattati e altri che si reggono su questa dipendenza, come i cocainomani, perfettamente adattati.

 Infatti il disagio psichico sorge dall’interazione tra la struttura soggettiva e la dimensione ambientale in cui ognuno è calato; ci possono essere strutture psichiche sane, che si trovano in contesti malati, per cui stanno male o strutture psichiche malate che si trovano in contesti malati e stanno bene.

“Si riconosce comunque come condizione necessaria per l’instaurarsi dell’esame di realtà il fatto che siano andati perduti degli oggetti che in passato avevano portato a un soddisfacimento reale”. Altrimenti se l’oggetto che ha provocato soddisfacimento non è andato perduto, non c’è la possibilità di simbolizzarlo. Nella realtà è possibile che l’oggetto non vada perduto, ma bisogna vedere se al soggetto viene permesso di sperimentare la perdita, ad esempio dalle figure genitoriali, che possono non consentirlo se iperprotettive.

 C’è una differenza tra un nevrotico e uno psicotico, che dicono “mi manca qualche cosa”.

–          per il nevrotico la mancanza di un oggetto è simbolizzata, ha un senso, implica che la questione della mancanza dell’oggetto è presa in una rete di significazioni, qualcosa che da ragione di ciò che sta accadendo, e che fa si che quell’oggetto sia preso sempre in una certa parzialità. Per cui può essere ad esempio sostituito, basta che la simbolizzazione che porta sia comunque la stessa, e quindi una simbolizzazione che soddisfa il desiderio soggettivo.

–          per lo psicotico, ad esempio nel caso della sostanza, non c’è una simbolizzazione attraverso la quale questa ha significato per lui in un registro simbolico: la sostanza ha significato direttamente su un piano reale perché procura una serie di conseguenze somatiche/biologiche. La sostanza interviene sul reale così come l’allucinazione: la differenza tra il rappresentarsi qualche cosa e l’allucinazione sta nel fatto che il soggetto ha una percezione ben diversa quando si rappresenta qualche cosa da quando l’allucina. Quando la rappresenta sa che sta elaborando col suo pensiero quell’oggetto, che quell’oggetto non è presente, che quello che sta elaborando è una rappresentazione, cioè è un trasportare la questione su un piano di simbolizzazione, proprio perché non c’è l’oggetto. Quando c’è un’allucinazione percettiva, è dal reale che viene percepita, e si percepisce come reale, e non come un pensiero che il soggetto sta elaborando, è come la sostanza che proviene dal reale, come assolutamente vera.  Lo psicotico ha una struttura differente, per lui è possibile l’accesso a qualcosa che proviene dal reale; anche per il nevrotico questa esperienza è possibile, egli può avere un’esperienza allucinatoria o di delirio, esperienze di qualcosa che viene dal reale (possibilità temporanea); egli però è fondamentalmente nella dimensione della rimozione. 

            Milena Albani   Serena Benacchio   Rosita Leonini

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Seminario  su

S. FREUD, La negazione (1925)
dalla lettura del 19 – 11 – 2003 

Freud tratta alcuni aspetti peculiari del meccanismo della negazione a partire dalla genesi nella struttura psichica della facoltà di giudizio. E’ necessario a questo proposito distinguere due fasi nella formazione della facoltà di giudicare: la prima nella quale l’individuo si percepisce ancora come non separato dal Reale e nella quale vigono le leggi del Principio di Piacere; la seconda in cui il Principio di Piacere viene affiancato dal Principio di Realtà, determinando la possibilità di un esame di realtà per le rappresentazioni psichiche. Nella prima fase, quella in cui vige esclusivamente la dimensione del P. d. P., ciò che viene percepito come piacevole viene a far parte dell’unica realtà omogenea e totale nella quale l’individuo è inizialmente collocato. Al contrario, ciò che viene percepito come spiacevole viene completamente rigettato. Evidentemente ci troviamo in una fase in cui l’individuo è sostanzialmente rappresentato da un Io-Piacere, ossia un’unità scarsamente differenziata e funzionante sulla base delle proprie percezioni (regolate sul P. d. P.). Successivamente (a causa del fatto che un funzionamento basato esclusivamente sul P. d. P. risulta pericoloso per l’economia del soggetto) è il confronto con la realtà a determinare un cambiamento decisivo. Attraverso una distinzione tra soggetto e oggetto, tra dentro e fuori, tra rappresentato e rappresentante (e implicitamente tra la rappresentazione e ciò che essa  intenderebbe rappresentare), vi è una prima percezione della separazione. Si tratta in effetti della distinzione tra ciò che il sistema psichico mette in campo per difendersi dalle percezioni spiacevoli (quale per esempio l’allucinazione del seno della madre), e ciò che effettivamente viene avvertito nel Reale. Freud afferma che il suddetto esame di realtà, una volta messo in funzione, consentirebbe all’individuo di poter usare l’oggetto nel Reale per i propri bisogni. Infatti il funzionamento dell’individuo alla presenza del P. d. R. mira ugualmente a un soddisfacimento pulsionale. Tuttavia il P. d. R. “esige e ottiene il rinvio del soddisfacimento […] e la temporanea tolleranza del dispiacere sul lungo e tortuoso cammino che porta al piacere[1][1].  Possiamo quindi affermare che l’accoglimento della distinzione tra rappresentazione del pensiero e oggetto del reale (tra cui, in un funzionamento psichico nevrotico, esiste una frattura strutturale) significa accogliere la presenza del limite o della mancanza che dal confronto col Reale proviene. La presenza del P. d. R. fa sì che l’individuo debba, per poter ottenere un soddisfacimento, attendere nella sospensione, nella mancanza dell’oggetto desiderato che si configura quindi strutturalmente quale oggetto – perduto. La distinzione tra rappresentazione dell’oggetto desiderato e oggetto del Reale diventa quindi caratteristica di ogni rappresentazione: è il limite invalicabile che separa linguaggio e Reale e che permette che qualcosa, nello spazio psichico, venga propriamente rappresentato.
Sorge, conseguentemente a questa riflessione, una possibile distinzione tra struttura psichica nevrotica e psicotica. Ciò che caratterizza una struttura psichica psicotica, rispetto a quella nevrotica, ha a che fare con un certo esito che il confronto portato dall’instaurazione del P. d. R. può avere all’interno della psiche. Se, infatti, l’accoglimento della distinzione tra rappresentazione e Reale non può, per le più svariate cause, avvenire, ci troviamo di fronte alla mancata nascita della frattura linguistica che consente alla facoltà di rappresentare, ossia al linguaggio, di funzionare. Questo significa la perdita della possibilità di trasferire attraverso una rappresentazione una molteplicità di significati. 
Essa infatti rimane ancorata alla realtà, cioè percepita come proveniente dal Reale e non è possibile sospendere un funzionamento privo dello spazio nel quale i simboli possono significare “qualcosa” e non solamente “quella cosa” (l’oggetto presente nel Reale). Si tratta della struttura psicotica, dove non è possibile mettere in discussione il significato della rappresentazione che, non essendo distinta dal Reale, si configura come una semplice portatrice di una verità percettiva indiscutibile proveniente da quello stesso luogo. E’, in altre parole, impedita la facoltà che noi consideriamo prevalente del linguaggio, cioè la sua caratteristica pluricomunicativa.
In una struttura di tipo nevrotico è la rimozione che caratterizza l’allontanamento dalla zona dell’Io cosciente di un’energia pulsionale che lo stesso Io aveva in passato avvertito quale pericolo. La negazione è quindi un meccanismo proprio di questo contesto: rappresenta un tipo di resistenza che viene azionata allorquando qualcosa sorge dal luogo del rimosso. L’inconscio non conterrebbe rappresentazioni in forma negativa, quali invece possono essere quelle del linguaggio cosciente. La negazione sta quindi a dimostrare che si è instaurato un funzionamento difensivo verso ciò che era stato rimosso in quanto percepito come spiacevole. E’ perciò possibile caratterizzare un aspetto fondamentale del funzionamento nevrotico, quello per cui “…ogni dispiacere nevrotico ha questa natura: è un piacere che non può essere avvertito come tale”[2][2]

Carlo Troiano



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Dalla lettura del 
Commento di Jean Hyppolite sulla Verneinung di Freud
del 14 Gennaio 2004

 Hyppolite indaga lo spessore filosofico dell’articolo freudiano. In particolare egli cerca di comprendere la natura complessa di questa dissertazione nella quale Freud utilizza termini che in tedesco sono dotati di uno spettro semantico estremamente ampio e ricco di sfumature.
Lo psichiatra francese prende le mosse della propria interpretazione da una distinzione che egli ritiene fondamentale: quella tra la negazione interna al giudizio e l’atteggiamento della negazione (che al termine del breve saggio Freud descriverà come “caratteristico di certi psicotici”). A causa di questa distinzione Hyppolite ne consegue che, grazie anche a un suggerimento di Lacan, si rende necessario tradurre il termine Verneinung con “denegazione”. Il meccanismo della negazione diventa fondamentale allorquando uno psicoanalista voglia far emergere un contenuto rimosso dal paziente. Indicandolo attraverso una proposizione introdotta dal segno della negazione, il paziente connota la presenza di un elemento o di un’associazione, che si presenta alla coscienza in quella forma proprio a causa del fatto che su di esso è ancora attivo il funzionamento della rimozione. Freud a questo punto introduce, sottolinea Hyppolite, il termine Aufhebung per caratterizzare il rapporto che lega la rimozione e il fenomeno della negazione. La negazione rappresenta una sospensione della rimozione nei riguardi di un contenuto nei confronti del quale, tuttavia, la rimozione è ancora attiva. Ciò significa che la presenza nello strato cosciente della psiche di una rappresentazione contrassegnata dal segno della negazione non conduce direttamente all’eliminazione degli effetti che la rimozione esercita su di essa. Successivamente l’evidenza logica potrà condurre il paziente ad ammettere in forma affermativa quanto contenuto nella rappresentazione precedentemente negata. Questa operazione tuttavia rappresenta, suggerisce Hyppolite, la messa in atto di una regola della logica proposizionale (la cosiddetta legge della “doppia negazione”) e presente nella coscienza per la quale  ~~a = a (dove ~ rappresenta il segno di negazione e a una lettera proposizionale). Ciò delinea secondo Hyppolite l’importantissima affermazione successiva di Freud, per il quale, a questo punto, “l’intellettuale si separa dall’affettivo”. La frattura strutturale tra accettazione intellettuale del contenuto rimosso e non accettazione della presenza delle implicazioni affettive del medesimo contenuto (quale dimostrazione degli effetti della rimozione ancora in atto su di esso) prefigura la successiva riflessione di Hyppolite. Potremmo in effetti situare il fenomeno della negazione all’interno di un percorso trasformativo nel quale l’iniziale “appetito di distruzione” (definito come tale dallo stesso Freud al termine del saggio) perviene a quella che Hyppolite definisce, con la dovuta cautela, come una sorta di “sublimazione”. Intendiamo forse in questo caso una dimensione nella quale l’atteggiamento distruttivo primordiale cessa di essere attivo. Ed esso può cessare di essere attivo nella coscienza soltanto assumendo la forma della negazione di una rappresentazione prima, e della denegazione di questa poi, visto che esso è evidentemente connesso al processo di rimozione che sulla stessa rappresentazione era stato messo in atto. Da queste riflessioni è possibile conseguire un risultato fondamentale: la scissione strutturale tra la dimensione immaginaria (che fonda l’Io cosciente) e quella dell’Inconscio (nella quale i contenuti presenti non obbediscono alle medesime leggi, presenti invece nella coscienza). Infatti, è possibile concludere, l’emergere al livello cosciente di una rappresentazione, veicolante contenuti rimossi, può avvenire solamente e strutturalmente grazie a una funzione dell’intelletto (ed è per questo che Freud considera il fenomeno della negazione come fondamentale nei processi intellettivi, quale fondamento della “facolta interna del giudizio”). Questa funzione è in grado di riposizionare in un diverso contesto ciò che altrimenti risulterebbe inaccettabile a livello immaginario (e che continua, nelle sue implicazioni affettive, a rimanere appunto inaccettabile), considerando in nuce l’istanza di espulsione che sul suddetto contenuto era stata precedentemente esercitata. 

Nella seconda parte dell’esplorazione del testo freudiano Hyppolite si sofferma sulle questioni emergenti, a partire dal fenomeno della negazione, dal confronto con il principio di piacere. Freud formula l’ipotesi che il meccanismo della negazione stia alla base della formazione della facoltà di giudizio e quindi generatore del funzionamento del pensiero. In un individuo, inizialmente privo della percezione – distinzione tra esterno e interno, il giudizio di attribuzione, basato esclusivamente sul principio di piacere, attua un processo di introiezione o espulsione sugli “oggetti percettivi” avvertiti come piacevoli o spiacevoli. Il giudizio di realtà ha invece la caretteristica di consentire ad un contenuto percettivo di poter essere rappresentato. Questa distinzione risulta fondamentale ai fini di comprendere le successive affermazioni di Freud, sia riguardo la distinzione tra l’uguaglianza affermazione – Eros, e la dissimetria della mancata identità tra negazione e pulsione di morte; sia nel precisare ciò che distingue il fenomeno della negazione dall’atteggiamento della negazione. Analizzando il testo originale in tedesco Hyppolite è in grado di scoprire la sottile intenzione di Freud di differenziare il binomio affermazione – Eros da quello negazione – Thanatos. Se l’affermazione è Ersatz della Vereinigung, la negazione è il Nachfolge dell’appetito di distruzione, ciò che viene esercitato per impedire a un contenuto “spiacevole” di poter essere rappresentato. L’analisi testuale permette di spiegare l’effettiva disimmetria descritta da Freud nel considerare i due binomi, Eros – affermazione e Thanatos – negazione: mentre la pulsione di vita si identifica (è equivalente) al procedimento affermativo, per il quale un contenuto veicolato da una rappresentazione è stato introiettato, la pulsione di morte produce, quale effetto, il meccanismo della negazione. A causa di questa “mancata” corrispondenza è possibile descrivere il motivo per cui “l’intellettuale si separa dall’affettivo”, proprio perché la negazione rappresenta una funzione volta a permettere l’emergere di nuovi simboli con le conseguenti catene di significazione. Un’area di significanti può diventare accessibile grazie al fenomeno della negazione, funzione intellettuale che, proprio perché conseguente alla rimozione di contenuti verso cui era stato praticato un tentativo di espulsione, permette che le possibilità associative del pensiero vengano svincolate dal suddetto tentativo.

In ultimo, l’analisi linguistica compiuta da Hyppolite può consentire un ulteriore approfondimento del concetto di “pulsione di morte”. Essa si identifica non, come è già stato spiegato, con la negazione, bensì con l’istanza di espulsione. Non presente in modo primigenio come attribuzione negativa, l’istanza di espulsione rappresenta il tentativo di negare l’esistenza, quindi la stessa possibilità di introiezione, di un contenuto affettivo. Ciò significa che la pulsione di morte quale istanza di espulsione mira a impedire l’intervento della pulsione libidica tendente alla funzione introiettiva: essa è diretta contro la pulsione di vita, che consentirebbe a un “oggetto percettivo” di poter essere rappresentato simbolicamente. E’ quindi comprensibile, alla luce di questa ultima riflessione, comprendere quanto Freud sostiene in conclusione del testo, distinguendo la negazione dal “negativismo” caratteristico di certi psicotici. L’atteggiamento della negazione sarebbe strettamente legato alla pulsione di distruzione, essendo caratterizzato quale opposizione primaria all’introiezione, quindi all’allargamento della significazione simbolica. L’avvicinamento tra pulsione di morte, istanza di espulsione, mancata possibilità di simbolizzazione, conduce alla successiva elaborazione di Lacan del concetto di “forclusione”.

Carlo Troiano