La pulsione di morte in Lacan – Introduzione

Questo commento verte intorno alla questione della pulsione di morte.

Lo studio che ne è alla base è sorto dalla mia esigenza di approfondire un problema, quello inerente alla “pulsione di morte” appunto, che è di importanza capitale, secondo me, nella pratica psicoanalitica. Infatti non possiamo, credo, prescindere in psicoanalisi dagli interrogativi concernenti le istanze “motrici” della psiche, dal senso cioè della psiche stessa, vale a dire dalla o dalle direzioni del suo movimento. In particolare, non possiamo prescindere dall’interrogativo sull’esistenza di una o più tendenze fondamentali, eventualmente contrastanti; né compete agli psicoanalisti fare gli struzzi sull’eventuale necessità teorica di supporre tendenze operanti nella psiche che debbano essere annoverate come negative, in senso lato, o, se vogliamo, portatrici di morte. Il sottrarsi a tali questioni, così come l’esigenza di rappresentarsi una vie en rose, non gioverebbero né a uno spirito di autentica ricerca né agli analizzanti, i quali alla fin fine chiedono all’analisi qualcosa di più affine alla verità[1] che alla consolazione.
        Freud ha avvertito la necessità teorica di introdurre il concetto di pulsione di morte e lo ha fatto con il suo Al di là del principio di piacere[2], del 1920, in cui peraltro tiene a sottolineare ripetutamente, come è nel suo stile, che tale necessità teorica è sorta in lui dalla clinica, dalla constatazione di ciò che accadeva con i suoi pazienti.
        Naturalmente è questo il testo freudiano che ho preso in esame per interrogarmi sulla questione; nonostante l’apparenza, non si tratta di un testo lineare; Freud si sforza, è vero, di presentare un ragionamento lucido, una costruzione logica che viene edificata passo passo partendo dalle osservazioni, senza concedere mai nulla alla mitologia; immagina possibili obiezioni e para i colpi in anticipo; anche quando si scusa, per così dire, per quella parte dello scritto che definisce una “speculazione che si spinge molto lontano, e che il lettore potrà apprezzare o trascurare secondo le sue predilezioni individuali”, egli è evidentemente dispiaciuto di non poter opporre prove certe, ma trapela in lui l’assoluta convinzione d’aver tratto l’unica conclusione illuministicamente possibile:
        Ma per il momento ci attira l’idea di sviluppare fino alle sue ultime conseguenze l’ipotesi che tutte le pulsioni tendano a ripristinare uno stato di cose precedente. Anche se il risultato potrà dare un’impressione di astruseria o di misticismo, noi sappiamo peraltro di non meritare affatto l’accusa di esserci proposti una cosa del genere. Quel che cerchiamo sono i sobri risultati della ricerca o della riflessione che da essa scaturisce; né vorremmo che tali risultati possedessero altre qualità all’infuori della certezza.[3] D’altronde è ben nota l’affascinante chiarezza dei testi freudiani. È appunto a causa di tale fascino, secondo me, che si giunge al termine della lettura di Al di là del principio di piacere con l’impressione di aver assistito allo sviluppo di un pensiero cogente, che Freud ha sviluppato quasi controvoglia direi, costrettovi dalla logica delle cose. Pertanto pare che non si possa che accettarne le conclusioni o cercare qualcosa che lo confuti al di fuori dell’ordine di idee della psicoanalisi, perché all’interno di tale ordine non si potrebbe che arrivare a quel risultato. Qualcosa di diverso accade però se si rilegge quel testo, se lo si analizza, lo si scompone, lo si mette alla prova; emergono allora interrogativi prima non colti, nascosti nelle pieghe del discorso; interrogativi, come cercherò di mostrare, tutt’altro che marginali o collaterali; tali, al contrario, da inficiare dalle fondamenta la costruzione freudiana sulla pulsione di morte; tali questioni mettono infatti in luce, secondo la mia lettura, contraddizioni interne al discorso e quindi aprono la strada alla possibilità di articolare qualcosa di differente su questo problema proprio all’interno della teoria psicoanalitica. È dunque questo lo scopo della prima parte del commento: esporre i risultati dell’analisi del testo di Freud evidenziando le questioni che ne sorgono e in particolare le contraddizioni. La seconda parte è dedicata sempre al tema della pulsione di morte, ma affrontato ora dalla prospettiva di Lacan, così come egli lo elabora nel suo principale seminario al riguardo, quello sull’Etica della psicoanalisi[4]. Vedremo come qui la pulsione di morte sia trattata non in funzione di una dubitabilissima correlazione biologica, ma strettamente all’interno della concettualizzazione della psicoanalisi. Inoltre, la questione si mostra qui in tutta la sua complessità e soprattutto nell’evidenza della sua non-univocità, tanto che diviene difficile, se non insensato, pensare a una contrapposizione tra forze “buone” e forze “cattive” della psiche, a un manicheismo delle pulsioni. Si tratta cioè di rinunciare ancora una volta, cosa che la psicoanalisi ci ha insegnato fin dall’inizio, ma che non apprendiamo mai abbastanza, all’utopia che il soggetto umano possa agganciarsi a un riferimento giusto, a quello buono finalmente, che lo guiderebbe poi  nella propria esistenza così, linearmente, come un pilota automatico. Basterà del resto, a tale riguardo, rammentarsi dell’automatismo di ripetizione di Lacan per comprendere come questa utopia sconfini nella pulsione di morte stessa. Finalmente, appunto.Nella terza parte cercherò di mostrare come le questioni e le contraddizioni che sorgono dal testo di Freud possano trovare una loro sistemazione, un chiarimento, se riviste alla luce della teoria di Lacan. Non anticiperò nulla qui di quanto esporrò in merito perché mancherebbero ora le premesse concettuali per una, sia pur accennata, sintesi.


          [1] Vedremo nel seguito quale senso possa essere attribuito a “verità” in psicoanalisi. 

[2] S. Freud, Al di là del principio di piacere, in Opere – Vol. 9 (L’Io e l’Es e altri scritti 1917-1923), Bollati Boringhieri, 1992, Torino. 

[3] Ibidem, pag. 223.

           [4] Jacques Lacan, Il seminario – Libro VII – L’etica della psicoanalisi -.1959-1960 , Einaudi, 1994.